Perché continui a scegliere sempre lo stesso tipo di partner? Ecco cosa dice la psicologia

Quanti di voi hanno chiuso una relazione disastrosa giurandosi “mai più”, per poi ritrovarsi sei mesi dopo con una persona apparentemente diversa ma che, sorpresa, fa esattamente le stesse cose? Lui sparisce per giorni senza spiegazioni, lei ti critica costantemente, oppure sembra perfetto all’inizio ma poi diventa freddo come un iceberg. E tu lì, con gli amici che ti guardano tipo “ma davvero non te ne sei accorto prima?”

La cattiva notizia? Non è solo sfortuna. La buona? C’è una spiegazione scientifica precisa dietro questo loop infernale, e soprattutto puoi uscirne. Secondo gli studi di psicologia relazionale, il nostro cervello ha una specie di impostazione predefinita per le relazioni sentimentali, scritta durante l’infanzia e aggiornata dalle esperienze successive. E questa impostazione ci fa scegliere sempre gli stessi tipi di partner, anche quando ci fanno soffrire.

Il Tuo Cervello Ha un Pilota Automatico Relazionale e Probabilmente È Rotto

Partiamo dalle basi: la teoria dell’attaccamento. Negli anni Sessanta, lo psicologo britannico John Bowlby ha capito una cosa fondamentale: il modo in cui i nostri genitori o caregiver ci hanno trattato da piccoli diventa il nostro template per tutte le relazioni future. Non è magia nera, è neuroscienza. Il cervello registra: “Ok, quindi gli esseri umani funzionano così” e poi applica lo stesso schema anche quando hai trent’anni e provi a costruire una relazione adulta.

La psicologa Mary Ainsworth ha poi identificato diversi stili di attaccamento. Se i tuoi genitori erano presenti, affettuosi e affidabili, probabilmente hai sviluppato un attaccamento sicuro: ti fidi delle persone, non vai nel panico quando il partner non risponde subito al messaggio, riesci a gestire sia l’intimità che l’indipendenza senza andare in crisi. Congratulazioni, hai vinto alla lotteria emotiva.

Ma se la tua infanzia è stata meno idilliaca, le cose si complicano. Chi ha avuto genitori imprevedibili, a volte presenti e a volte assenti, spesso sviluppa un attaccamento ansioso: paura costante dell’abbandono, bisogno di rassicurazioni continue, tendenza a controllare ogni movimento del partner. Chi invece ha avuto genitori freddi o rifiutanti tende a sviluppare un attaccamento evitante: distanza emotiva, difficoltà a lasciarsi andare, fuga quando le cose si fanno troppo intime. E poi c’è l’attaccamento disorganizzato, un mix confuso di “ti voglio vicino ma mi fai paura”, tipico di chi ha vissuto situazioni traumatiche o abuso.

Il Problema Non È Che Scegli Male, È Che Scegli Familiare

Ecco dove diventa interessante: questi schemi non restano nell’infanzia come ricordi polverosi. Si riattivano automaticamente nelle relazioni adulte, senza chiedere permesso. È tipo quando guidi e improvvisamente realizzi di essere arrivato a casa senza ricordare il tragitto. Pilota automatico.

Una persona con attaccamento ansioso sarà attratta magneticamente da partner emotivamente distanti o ambivalenti. Perché? Perché quella danza di avvicinamento e allontanamento le risulta stranamente confortevole. È il setting predefinito. Un partner stabile e affettuoso? Sembra noioso, troppo prevedibile, addirittura sospetto. Il cervello pensa: “Questo non è amore, dove sono l’ansia e la sofferenza?”

Chi ha attaccamento evitante fa l’opposto: appena la relazione si fa seria, scappa. Trova difetti improvvisi nel partner, si convince che non è quello giusto, oppure sceglie direttamente persone con cui sa che non funzionerà mai, tipo qualcuno sposato o che vive dall’altra parte del mondo. Così conferma la sua convinzione: “Vedi? Le relazioni intime non funzionano, meglio stare da soli.”

Quando “Casa” Significa Caos: Il Ruolo della Famiglia Disfunzionale

Non si tratta solo di attaccamento. Le famiglie problematiche insegnano ai bambini regole relazionali completamente distorte. Se sei cresciuto in una casa dove si urlava costantemente, dove i conflitti si risolvevano con violenza o silenzi punitivi, o dove dovevi camminare sulle uova per non far arrabbiare qualcuno, hai imparato che l’amore normale include sofferenza. Una relazione pacifica ti sembra strana, finta, priva di quella “passione” che in realtà è solo dramma travestito da romanticismo.

La terapia cognitivo-comportamentale spiega questo fenomeno attraverso gli schemi cognitivi disfunzionali: convinzioni profonde su te stesso, sugli altri e sulle relazioni che agiscono come occhiali colorati. Se hai interiorizzato credenze tipo “non merito amore”, “le persone prima o poi se ne vanno sempre” o “devo soffrire per essere amato”, il tuo cervello interpreterà ogni relazione attraverso questi filtri. Il partner non risponde per due ore? Non sta guidando, ti sta già tradendo. Ti tratta bene? Deve avere secondi fini.

Gli studi sulla ricerca sistemico-relazionale mostrano come i contesti familiari disfunzionali creino pattern specifici. Se da bambino dovevi essere perfetto per ricevere attenzione, da adulto probabilmente ti ritroverai attratto da partner critici o emotivamente indisponibili, perché sai già come giocare quella partita. Conosci le regole: devi conquistare l’amore ogni giorno, dimostrare il tuo valore, sistemare i problemi dell’altro. Un partner che ti apprezza semplicemente per quello che sei? Disorientante. Il cervello non sa come elaborare quei dati.

Il Paradosso del Comfort nella Sofferenza

C’è un concetto controintuitivo ma cruciale: spesso scegliamo inconsciamente situazioni che ci fanno soffrire perché sono prevedibili. Il nostro cervello preferisce il dolore conosciuto all’incertezza dell’ignoto. È per questo che tante persone escono da relazioni tossiche e poi trovano immediatamente un clone del partner precedente. Non è masochismo, è il tentativo disperato del sistema emotivo di restare in territorio familiare, dove almeno sappiamo quali sono i pericoli e come muoverci.

Il Principe Azzurro È un Miraggio Pericoloso: Parliamo di Idealizzazione

Passiamo a uno dei meccanismi più infidi che mantengono in vita relazioni problematiche: l’idealizzazione del partner. Quante volte hai sentito o detto frasi come “è la persona perfetta per me”, “mi completa”, “finalmente qualcuno che mi capisce davvero” dopo tre appuntamenti? Ecco, questo è un red flag gigante che il tuo cervello sta proiettando fantasie invece di vedere la persona reale.

Quando idealizzi qualcuno, non lo vedi per quello che è: ci proietti sopra tutti i tuoi bisogni insoddisfatti, le tue fantasie di salvezza, i tuoi desideri di essere finalmente “completo”. Questa persona diventa il salvatore che risolverà tutti i tuoi problemi, riempirà tutti i tuoi vuoti, darà finalmente senso alla tua vita. Il problema? Nessun essere umano può reggere il peso di aspettative così irrealistiche. È matematicamente impossibile.

La ricerca sulla psicologia delle relazioni, inclusi gli studi condotti da Sandra Murray e colleghi negli anni Novanta, mostra chiaramente che l’idealizzazione iniziale porta quasi inevitabilmente a una fase di delusione brutale. Quando il partner reale emerge da dietro la facciata idealizzata, con tutti i suoi difetti normali e la sua umanità, arriva la frustrazione. “Non è più come all’inizio”, “mi ha deluso”, “pensavo fosse diverso”. Spoiler: non è cambiato nulla. Semplicemente hai smesso di vedere l’immagine fantastica che avevi sovrapposto alla persona vera.

La Trappola della Dipendenza Emotiva

Questo pattern è particolarmente frequente in persone con bassa autostima o bisogni emotivi irrisolti. Se non ti senti completo o degno da solo, cerchi nell’altro quella metà mancante che dovrebbe renderti finalmente “intero”. Ma indovina un po’? Non funziona così. Il risultato è una dipendenza emotiva malsana, dove l’altro diventa indispensabile per il tuo benessere psicologico. Scatta il panico quando non risponde, interpreti ogni suo comportamento come segnale di abbandono, la tua felicità dipende totalmente dal suo umore.

La letteratura sulla codipendenza evidenzia proprio queste dinamiche salvatore-salvato: una persona si posiziona come bisognosa di aiuto, l’altra come salvatrice, creando un equilibrio precario che soddisfa i bisogni emotivi distorti di entrambi. Quando uno dei due prova a cambiare ruolo, l’intera relazione va in crisi, perché non era basata su due individui autonomi ma su due copioni complementari e disfunzionali.

Non È Solo Colpa dell’Infanzia: Le Relazioni Passate Contano

Sarebbe troppo facile dare la colpa solo ai genitori. Le esperienze relazionali successive, specialmente quelle sentimentali, continuano a modellare i nostri schemi. Una relazione particolarmente traumatica o abusante lascia cicatrici profonde che influenzano quelle future. Chi ha vissuto tradimenti ripetuti potrebbe sviluppare sfiducia cronica e controllo ossessivo. Chi è stato in una relazione violenta potrebbe normalizzare comportamenti aggressivi o, al contrario, sviluppare ipervigilanza costante.

Quale schema relazionale ti perseguita di più?
Idealizzazione estrema
Paura dell’abbandono
Fuga quando è serio
Dipendenza emotiva
Amore come sofferenza

Anche il contesto culturale e sociale gioca la sua parte. Crescere in ambienti dove certi ruoli di genere sono rigidi, dove la “sofferenza per amore” viene romanticizzata attraverso film e canzoni, dove l’idea di coppia è legata a possesso e gelosia influenza profondamente le nostre aspettative. Quante volte hai sentito frasi tipo “se è geloso significa che ci tiene” o “le coppie che litigano si amano di più”? Tutte belle stronzate che normalizzano dinamiche tossiche.

Come Spezzare il Ciclo Senza Diventare Monaco Tibetano

Finora abbiamo dipinto un quadro piuttosto deprimente. Ma ecco la parte importante: puoi uscirne. Non è facile, non è veloce, ma è assolutamente possibile. La ricerca psicologica offre diverse strade concrete.

Riconoscere i Propri Schemi

Il primo passo fondamentale è sviluppare consapevolezza emotiva. Questo significa iniziare a osservare i tuoi pattern relazionali con curiosità invece che con giudizio. Tieni un diario relazionale dove annoti ricorrenze, emozioni, reazioni automatiche. Fai una “mappa” delle tue relazioni passate cercando elementi comuni. Chiediti quali sensazioni evoca un nuovo partner: eccitazione genuina o ansia familiare? Senso di sfida da conquistare o connessione autentica?

Spesso ci rendiamo conto che siamo attratti sempre dallo stesso tipo di persona o che reagiamo sempre allo stesso modo in determinate situazioni. Un partner si allontana emotivamente? La tua reazione automatica è inseguirlo con più intensità, confermando il suo bisogno di distanza. Oppure fai l’opposto, chiudendoti per primo per non rischiare di soffrire. Riconoscere questi automatismi è il prerequisito per poterli modificare.

Informarsi Non È Perdere Tempo, È Salvarsi la Vita Sentimentale

Leggere, informarsi su attaccamento, schemi cognitivi e dinamiche relazionali non è puro esercizio intellettuale: è uno strumento concreto di cambiamento. Quando capisci che certi comportamenti non sono difetti caratteriali ma strategie di sopravvivenza emotiva apprese nel tempo, puoi guardare a te stesso e agli altri con maggiore compassione. Questo non significa giustificare comportamenti dannosi, ma comprenderne le radici per poterli trasformare.

Approcci come la terapia cognitivo-comportamentale e la schema therapy offrono cornici teoriche e tecniche pratiche per lavorare su questi aspetti. Molte persone beneficiano enormemente di percorsi terapeutici individuali dove esplorare in profondità i propri modelli relazionali, le credenze disfunzionali e sperimentare modalità nuove in un contesto sicuro.

Il Lavoro Su Sé Stessi Non È Egoismo, È Prerequisito

Concetto cruciale: non puoi cambiare il partner o controllare il suo comportamento, ma puoi lavorare su te stesso. Questo significa investire nella tua autonomia emotiva, sviluppare autostima non dipendente dalla validazione esterna, imparare a stare bene anche da solo. Paradossalmente, è proprio quando smetti di “avere bisogno” disperatamente di una relazione che diventi capace di costruirne una sana.

Il lavoro su sé stessi include imparare a tollerare il disagio emotivo senza cercare immediatamente una relazione che lo anestetizzi, riconoscere i propri bisogni autentici distinguendoli da quelli compensatori, sviluppare abilità di comunicazione assertiva e gestione dei conflitti. Tutto questo richiede tempo, impegno e spesso l’aiuto di un professionista, ma i risultati possono essere trasformativi.

Attenzione alle Semplificazioni: Il Mondo Non È Bianco o Nero

Facciamo alcune precisazioni importanti per evitare semplificazioni dannose. Primo: riconoscere i propri pattern disfunzionali non significa colpevolizzarsi. Non hai scelto consapevolmente di sviluppare un attaccamento ansioso o di idealizzare i partner. Questi sono meccanismi formatisi in risposta a esperienze reali, spesso quando eri troppo piccolo per avere strumenti alternativi. La responsabilità sta nel presente: ora che sei consapevole, puoi scegliere di lavorarci.

Secondo: non tutte le relazioni con momenti difficili sono tossiche o disfunzionali. La conflittualità fa parte di qualsiasi relazione sana. Due persone diverse che costruiscono una vita insieme devono inevitabilmente negoziare, trovare compromessi, attraversare momenti di attrito. La differenza sta nel come si gestiscono questi momenti: con rispetto, comunicazione e capacità di riparazione, oppure con manipolazione, violenza e disprezzo?

John Gottman, ricercatore che ha studiato migliaia di coppie per decenni, ha identificato i segnali che predicono il fallimento di una relazione: disprezzo, critica costante, atteggiamento difensivo e ostruzionismo. Non il conflitto in sé, ma come viene gestito. Una coppia che litiga ma sa riparare, ascoltarsi e trovare compromessi è più sana di una che evita ogni confronto per paura di litigare.

Disfunzionale Non È Sinonimo di Abusante

Distinzione cruciale: esiste una differenza sostanziale tra relazioni disfunzionali, dove entrambi i partner contribuiscono inconsapevolmente a dinamiche problematiche ma modificabili, e relazioni abusanti, dove c’è un chiaro squilibrio di potere, manipolazione sistematica, controllo coercitivo, violenza fisica o psicologica. In quest’ultimo caso, il lavoro su sé stessi non consiste nel capire come cambiare la dinamica, ma nel riconoscere l’abuso e mettere in sicurezza sé stessi, possibilmente con l’aiuto di professionisti e reti di supporto.

Gli studi sulla violenza di coppia, come quelli condotti da Evan Stark sul controllo coercitivo, sottolineano che nelle situazioni di abuso gli interventi raccomandati pongono al centro la sicurezza della persona, l’accesso a reti di supporto e, quando necessario, l’uscita protetta dalla relazione, non il semplice lavoro di coppia.

Verso Relazioni Più Sane: È Possibile, Non È Magia

Se ti riconosci in questi pattern, respira. Migliaia di persone prima di te hanno compiuto questo percorso di consapevolezza e cambiamento, trasformando radicalmente la qualità delle proprie relazioni. Non si tratta di diventare perfetti o eliminare ogni difficoltà, ma di sviluppare quella flessibilità emotiva e quella sicurezza interna che permettono di scegliere partner compatibili, comunicare bisogni in modo chiaro, gestire i conflitti costruttivamente e, quando necessario, riconoscere che una relazione non funziona e andare avanti.

Il percorso inizia con domande semplici ma potenti: quali schemi sto ripetendo? Cosa cerco veramente in una relazione? Sto scegliendo qualcuno perché mi fa stare bene o perché mi risulta familiare? E soprattutto: sono disposto a fare il lavoro necessario per cambiarli?

La psicoterapia basata su evidenze, che comprende vari approcci con efficacia documentata, si è dimostrata utile nel migliorare sintomi emotivi, qualità delle relazioni e funzionamento globale. Chiedere aiuto a un professionista qualificato non è segno di debolezza, ma di forza e maturità. A volte, per vedere chiaramente i propri schemi servono occhi esterni e competenti. La terapia offre proprio questo: uno spazio sicuro per esplorare, comprendere e trasformare i modelli relazionali che ci limitano.

Le relazioni problematiche non sono una condanna genetica o un destino inevitabile. Sono un’opportunità: quella di guardarci dentro, riconoscere le nostre ferite e i nostri automatismi, e scegliere consapevolmente di scrivere un nuovo copione relazionale. Uno dove non siamo più prigionieri del passato o vittime della sfortuna, ma autori attivi del nostro presente affettivo. E fidati: quando finalmente esci dal loop e costruisci una relazione sana, ti rendi conto che quella sensazione che cercavi non era il dramma travestito da passione, ma la tranquillità autentica di essere visto, accettato e amato per quello che sei davvero.

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